Casa di Tígrisdýta Drekansvörtudóttir

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  1. Tígrisdýta_Drekansvörtudóttir
     
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    Ai tempi in cui Irja Blómengaðdóttir, orfana da anni, viveva di stenti rubando qui e là di notte, la sua dimora era una baracca tenuta insieme a stento, leggermente discostato da un piccolo villaggio nello Skutulsfjörður. Conteneva un piccolo fornello a gas e una brandina. Sotto quest’ultima una piccola botola nascosta nel terreno, faceva da “cassaforte” per i suoi abiti, un paio di padelle e quello che era riuscita a rubare la notte precedente o ciò che doveva rivendere il giorno successivo. Quando la babbana conobbe, si mise in affari e successivamente iniziò una relazione clandestina con l’elfo oscuro Drekansvörtu, i guadagni delle scorrerie si moltiplicavano. L’elfo, infatti, donava alla donna una buona percentuale del suo bottino. Non aveva problemi a far ciò, dato che la caverna in cui viveva con il suo clan era colma di tesori e continuava a rubare per il puro piacere di farlo e di portare caos nel villaggio. La donna acquistò una villa piccola ma completa di tutto. Non necessitava di una grossa casa, dato che il suo compagno non poteva stare con lei, ma doveva far ritorno da quelli della sua razza all’alba. Male voci cominciarono a diffondersi del villaggio e ancora peggiori erano quelle sul presunto padre della figlia, Tígrisdýta Drekansvörtudóttir, tanto strana e diversa tanto quanto era complesso pronunciarne il nome.

    Per migliorare la vita della figlia e prometterle un futuro più roseo, la donna, ormai divisa dal compagno si spostò con la piccola a Ísafjörður. Sebbene fosse sempre in Islanda, il villaggio era molto diverso sia per la formazione sia per chi ci viveva. I pochi cittadini, infatti, erano tutti impegnati tra vita privata e lavoro e non si curavano molto delle nuove arrivate.

    La donna acquistò una villetta separata dal restante villaggio da un boschetto piccolo ma fitto nel quale passava un piccolo torrente.

    Casa:

    L’abitazione fu restaurata dal giardino al tetto, e gli interni molto grandi e spaziosi erano arredati in modo moderno e semplice ma con tutti i confort che potevano servire a chi vi risiedeva, soprattutto in funzione dei gusti della madre e delle necessità della figlia che per natura era portata a ripudiare la troppa luce.
    Per chi superava il boschetto, si apriva una pianura con qualche pino. Al centro una tipica casa islandese di legno dipinto di bianco con delle cornici rettangolari marrone che decoravano ogni parete e un tetto verdognolo. Il tetto, molto spiovente per resistere alle abbondanti nevicate, era irregolare e al centro vedeva spuntare una specie di torretta con un tetto molto appuntito. Le finestre erano tante e sparse, più alte che larghe e messe a gruppi di due o tre su ogni lato e piano della casa. Avevano tutte una punta triangolare in cima con dei mini tetti sulla sommità.
    Per raggiungere la casa bisognava attraversare un viale largo circa un metro composto da una ghiaia color grigio scuro perfettamente riconoscibile nel prato verde brillante tenuto perfettamente dalla giovane, che calato il sole, adorava passare il tempo all’aria aperta, aspettando le stelle. Dove il viale curvava maggiormente, era situato un cespuglio a ferro di cavallo con una panchina, sulla quale ci si poteva sedere comodamente per osservare lo splendido panorama nordico, il boschetto o farsi deliziare dalla brezza marina.

    Giardino:

    Sul retro della casa vi era un giardino con una fontanella alimentata da una deviazione del torrente fatta costruire dalla proprietaria della casa. Aveva uno stile zen, che la ragazza conosceva grazie agli insegnamenti dell’insegnante privato. Era affascinata da quella cultura orientale, così vicina alla natura, molto più di quanto potesse mai esserla quella occidentale. Il torrente raggiungeva un recinto di massi porosi, aveva un piccolo ponte di pietra per attraversarlo, una statua a forma di pagoda sospesa e vari fuori spuntavano ora dalla sabbia ora dal terreno creando un dipinto naturale di vari colori. Vi era anche la tipica fontana Tsukubai e qualche attrezzo per la cerimonia del tè giapponese, puramente a scopo decorativo. Dato il freddo, le piante erano quelle tipiche del luogo: papaveri islandesi, fiori lupini di vari colori e molti altri. Spesso la fontana gelava, restando in ogni caso splendida a vedersi.
    Una volta entranti in casa, dopo un piccolo atrio dove bisognava posare le scarpe e prendere le ciabatte (Vi erano anche quelle per gli ospiti, posizionate con cura in una pila in un piccolo armadietto.) o gli abiti grondanti di pioggia, si raggiungeva il salotto sulla sinistra.

    Salotto:

    Il salotto era largo e spazioso con un caminetto automatizzato con cui era possibile riscaldare velocemente tutto l’ambiente, attivarlo da un’altra stanza o spegnerlo senza bisogno di fatica o tempo. Era posto in fondo alla stanza rispetto all’entrata e formato da pietre disposte in modo regolare fino al soffitto.
    Un piccolo tappeto quadrato di stoffa nera era disposto al centro, sul parquet Massello di legno nobile chiaro. Sopra di esso un tavolino basso circondato da divani di pelle morbida e color panna. Il divano posto proprio in linea con l’entrata aveva alla sua destra un altro tavolino basso di vetro e alla sua sinistra una grossa lampada bianca con un braccio ad arco che portava la luce proprio al centro della stanza. Appena entrati, si era colpiti dalla parete composta da tre finestre quadrate alte come il soffitto che erano oscurate di giorno con una tenda automatizzata ma aperte completamente al tramonto per far ammirare il panorama e successivamente il cielo splendente visibile chiaramente grazie all’assenza d’inquinamento atmosferico o di luci forti presenti nelle grandi città. Le pareti erano blu cielo cosa che conferiva alla stanza un aspetto buio, sebbene ci fosse la presenza di finestre tanto ampie. Accanto al camino, in un angolo, vi era un piccolo scaffale, dove erano disposti vari oggetti rari e preziosi “trovati” dal padre in una delle sue scorrerie notturne. L’uomo era solito rifornire di tesori la moglie e la figlia sebbene non si sapesse da dove li inviava e tramite chi. Vivendo della più che cospicua rendita ricavata dalla vendita di alcuni di essi, le due vivevano nel lusso senza bisogno di lavorare. Cosa che rendeva felice e sollevata la donna, cresciuta tra ladri e malfattori pur di sopravvivere senza vendersi e che le permetteva di avere tutta la giornata libera. Era quindi lei a svolgere le faccende domestiche. Sebbene ricca, infatti, non aveva servi o elfi domestici preferendo far da sola pur di non annoiarsi.
    Tuttavia, la sua vecchia compagnia che l’aveva aiutata a sopravvivere, non era stata dimenticata, anzi, spesso si riunivano tutti a casa della donna che preparava sontuosi piatti nella sua enorme e confortevole cucina.

    Cucina:

    Sulla destra rispetto all’entrata si raggiungeva la cucina, grande a sufficienza per ospitare una ventina di persone. Era composta da un lungo piano di lavoro che da destra verso sinistra aveva: un lavello, gli strumenti più utilizzati, un piano cottura a induzione, il tutto su una lunga mensola di marmo nero. Sopra e sotto vari e immensi cassettoni in legno di ciliegio faceva da dispensa per cibi, vivande, pentole, mestoli, forchette e tutto quello che occorreva per preparare i migliori piatti islandesi. Al centro della cucina un altro piano di ciliegio e marmo nero con un piccolo braciere che riscaldava i commensali e abbastanza ampio da far sedere tutta la combriccola di malfattori comodamente. Una volta entrati, se ci si voltava, si poteva intravedere, un grande armadio, dove era posto il frigorifero, il congelatore e la lavastoviglie a scomparsa. Il pavimento era d’igienica resina grigia, elegante e perfetta per mantenere ordine e pulito anche dopo l’arrivo di gente abituata a vivere per strada. La parete dove vi era il piano di lavoro era bianca, mentre le restanti di mattoni. Due piccole finestre sulle due laterali permettevano di avere una stanza abbastanza luminosa senza bisogna di grandi lampadari. La stanza era sovrastata da un soppalco, dove la giovane si rifugiava, non amando la folla, rimanendo però disponibile in caso la madre necessitasse di un aiuto.
    Davanti all’ingresso vi era una scala a chiocciola che serviva a salire al piano superiore e dietro di essa un bagno non troppo grande ma completo di tutto.

    Bagno:

    I sanitari erano di ceramica bianca, i cassettoni in mogano, il pavimento della stessa resina della cucina. Le pareti erano ricoperte completamente da un bellissimo mosaico del colore della resina. In fondo c’era una grande doccia idromassaggio di vetro con accanto una finestrella che permetteva di godersi il panorama durante i momenti di pulizia personale. Questo era il preferito della mezz'elfa perché meno luminoso e meno dispersivo di quello al piano superiore. Infatti, era cosparso di Sali e profumi naturali che non le infastidivano l’olfatto delicato. Non era raro trovarvi qualche incenso dal profumo dolce ancora acceso.
    Salendo le scale ci si trovata in una stanza quadrata di piccole dimensioni con tre porte.
    Quella frontale portava al secondo bagno.

    Secondo bagno:

    Marmo roseo e una forma circolare. La madre di Tígrisdýta, sebbene fosse stata sedotta da una creatura oscura, non disdegnava la luce e questo si notava dalla stanza che si era un po’ dedicata per i suoi momenti di relax. Dopo un piccolo corridoio dove erano disposti i sanitari e i mobiletti contenenti vari prodotti per la casa e la cura personale, fatti di legno chiaro e ceramica rosea, si raggiungeva una vasca idromassaggio rotonda circondata da del marmo e raggiungibile con una scalinata. Dietro di essa delle alte finestre rettangoli disposte sulla parete circolare mostravano l’incantevole paesaggio a chi si rilassava con un bel bagno. Varie creme, lozioni, candele profumate e un paio di vasi di fiori erano disposti attorno. Sopra invece un cerchio arancione richiamava l’idea del sole in contrasto con le pareti bianche. Un lampadario tondeggiante ne aumentava l’effetto illuminandolo. Anche la ragazza vi accedeva, ma più verso sera solo perché la visione del cielo notturno era migliore lì rispetto al bagno al piano inferiore. Ai lati della stanza, che si sviluppava nel senso della lunghezza, c’erano due porte che portavano alle due camere. Non vi erano camere per gli ospiti, dato che una massa di uomini poco raccomandabili erano gli unici ad essere invitati di tanto in tanto e di sicuro non erano ben graditi durante la notte. Se qualcuno ubriaco si addormentava, rimaneva a dormire sul divano, sparendo il mattino seguente. Questo non perché la madre non fosse accogliente ma erano in primis gli invitati che rassicuravano di voler rimaner lì, sentendosi più a loro agio e meno di disturbo.
    Nella stanza quadrata, prendendo la porta a sinistra, si accedeva alla camera di Irja che rispecchiava gli stessi gusti scelti per il bagno secondario.

    Camera Irja:

    Il bianco predominava nell’essenziale ma confortevole camera della proprietaria di casa. Il marmo del pavimento, le tende e le pareti bianche facevano risaltare lo scheletro del letto, le lampade ai suoi lati e i cuscini di un nero intenso. La parete di fronte all’entrata era composta completamente di finestre interrotte da una colonna con appoggiato un mobiletto nero. Sopra di esso uno specchio di legno con una cornice di marmo e un vaso contenente rose nere. Rappresentava al meglio la donna: l’amore per la luce e l’attrazione per le tenebre che avevano caratterizzato la sua vita. Una porta in vetro conduceva al bagno, oscurata in modo tale che non si potesse vedere da una stanza all’altra. Sulla parete dell’ingresso vi erano vari quadri con ritratti del compagno o delle sue avventure, degli scaffali neri con gli oggetti a cui più teneva e un’immensa foto con la figlia fatta nel bosco in riva al fiume, contornata da altre più piccole dove vi erano molti scatti di quest’ultima in diverse età. Erano disposte in modo tale che guardandole in senso orario si vedesse lei crescere. La figlia non apprezzava particolarmente quella stanza, troppo candida e luminosa, di conseguenza vi accedeva raramente soffermandosi solo per osservare le foto.
    Ultima, ma non meno importante, la stanza di “Tre” soprannominata così dai chi la conosceva la giovane mezza Drow, situata dalla parte opposta rispetto alla stanza della madre e anch’essa comunicante col bagno.

    Stanza di Tre:

    La ragazza, amando la natura, voleva una stanza semplice e non troppo moderna. E’ tutta in legno di noce dal pavimento alle pareti, comprese ante di armadi e finestre. Anche il letto matrimoniale a baldacchino aveva lo scheletro in legno di ciliegio, arricchito da tende e lenzuoli in lino bianco non molto spesse ma sufficienti a bloccare i raggi solari. Nei mesi più freddi vi era una morbida e calda coperta di lana di cashmere. La parete del letto aveva delle tele con rappresentati paesaggi notturni e varie creature magiche come draghi, lupi mannari o veele danzanti, vi erano anche delle foto di grandi rapaci in volo, a destra c’è un grande armadio contenente tutti gli averi della ragazza come vestiario, coperte e simili. Sulla sinistra di chi vi accedeva si poteva notare uno splendido pianoforte in ebano nero, con tasti in splendente avorio lavorato e decorazioni in oro. Un regalo del padre, trovato una mattina davanti all’ingresso con una busta contenente degli spartiti strani che evocano atmosfere uniche una volta eseguiti. Il sedile era dello stesso tipo di legno e colore con un comodo e traspirante cuscino di lino bianco contenente le migliori piume d’oca disponibili sul mercato.

    Pianoforte con Tre:

    Questo meraviglioso strumento musicale fa da protagonista in quella stanza ed è l’unico elemento d’arredo presente su quella parete.
    Alla parete opposta, invece, era presente un piccolo armadio in legno lavorato che custodiva gli oggetti cari alla ragazza, e tutto il materiale per lo studio e il disegno. Lì vi studiava con professore privato durante i lunghi pomeriggi in cui non invidiava per nulla chi usciva sotto il sole splendente. Accanto ad esso vi è un’enorme libreria con libri scolastici e altri appartenenti alla giovane con qualche oggetto decorativo posto su delle mensole come miniature di draghi, uccelli o vari animali o fiori fatti di pietra. Accanto al letto, sul lato destro, c’era un comodino con un molto curato e vigoroso bonsai a forma di ciliegio.
    Di fronte al letto c’era la parete con le finestre che si affacciavano sul boschetto posto qualche metro più avanti. Da lì provenivano i canti degli uccelli, il fruscio degli alberi o il rilassante rumore che producevano le acque del torrente. Rimanevano spesso chiuse, dato che la ragazza non amava la luce, tranne di notte, dove quella centrale, su cui era posto un divanetto, rimaneva spalancata permettendo di ammirare la luna e le stelle che decoravano il cielo notturno.
     
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